Alzheimer Europe, organizzazione che rappresenta 40 associazioni in tutto il continente, ha di recente presentato al Parlamento europeo, a Bruxelles, i risultati di un'indagine svolta nel corso del 2017 in cinque Stati dell’Unione (Italia, Olanda, Finlandia, Repubblica Ceca e Scozia) con il coinvolgimento di 1.409 familiari e caregiver di persone affette da demenza.
L'Alzheimer in Italia
I dati del sondaggio relativi al nostro Paese sono stati raccolti dalla Federazione Alzheimer Italia, che ha anche aggiornato il numero dei malati, stimati in 1.241.000: di questi il 73,9% è donna e quasi la metà (49,1%) ha tra i 75 e gli 84 anni. Inoltre, il 46,4 vive in casa con i familiari, il 28,7% con altri caregiver, mentre solo il 12,1% alloggia in residenze assistenziali. Dalla ricerca emerge anche un preciso profilo del caregiver: in Italia nella maggior parte dei casi si tratta del figlio della persona malata (64,8%), soprattutto di sesso femminile (80,3%; peraltro, anche negli altri quattro Stati europei considerati le donne caregiver rappresentano la maggioranza con l'82,8%).
Allarme europeo sul ritardo nella diagnosi
Il rapporto conclusivo del sondaggio, redatto dal professor Bob Woods, docente di Psicologia clinica presso l’università gallese di Bangor e direttore del Dementia Services Development Centre Wales, segnala un ritardo importante nella formulazione di una corretta diagnosi: in media, a un paziente su quattro è inizialmente diagnosticata un’altra patologia (purtroppo in Italia la percentuale sale sino al 31,9%) e per poter individuare la forma di demenza in media occorrono 25 mesi (in questo caso la situazione in Italia è migliore, ne bastano 18).
Inoltre, è risultato che una volta formulata una diagnosi corretta il 53% dei malati presentava una forma di demenza lieve, il 36% una forma moderata, il 4% grave. Altro dato significativo: in media il 47% dei familiari (in Italia il 52,1%) è convinto che l'evoluzione della malattia sarebbe stata migliore se la valutazione fosse stata più tempestiva, quindi precoce.
Differenze importanti tra i cinque Paesi sono poi state riscontrate a livello di comunicazione medico-paziente: il 59,3% dei familiari e dei caregiver italiani ha infatti dichiarato che il paziente non è stato informato della malattia, percentuale che scende al 23,2% in Repubblica Ceca, all’8,2% nei Paesi Bassi, al 4,4% in Scozia e addirittura all’1,1% in Finlandia. Una deficienza, quella italiana, che vede anche l’amaro commento di Gabriella Salvini Porro, presidente della Federazione Alzheimer Italia: “Una diagnosi tempestiva, insieme al coinvolgimento del malato nelle decisioni che lo riguardano e all’ascolto delle sue esigenze, sono fondamentali per combattere l’esclusione sociale e lo stigma, per assicurare dignità e migliorare la qualità di vita dell’intera famiglia coinvolta”.
Un problema anche il “dopo”
Un'altra criticità evidenziata dal sondaggio è stata quella del supporto successivo alla diagnosi, giudicato carente in tutti i Paesi coinvolti nell’indagine: più della metà dei familiari impegnati nell'assistenza di un malato di Alzheimer ha infatti dichiarato di percepire una grande carenza di informazioni sia sulla malattia sia riguardo le possibilità di assistenza.
In assenza al momento di farmaci efficaci nel contrasto alle varie forme di demenza, le associazioni di riferimento, che fanno capo ai familiari e ai caregiver dei pazienti, hanno così stabilito l'importante priorità di arrivare a diagnosi tempestive e soprattutto corrette, sollecitando il Parlamento europeo ad attivare politiche sanitarie che perseguano questi importanti obiettivi.