Impianto cocleare: cos’è e come libera gli anziani dalla sordità

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22 Marzo 2018

Il caso limite è quello di un 93enne di Napoli, afflitto da sordità grave (o profonda), che ha ha chiesto di poter avere un impianto cocleare perché “quando non senti non partecipi, ti deprimi, ti senti inutile, vivi male”. L’anziano in questione è rinato dopo la rieducazione con il logopedista e il supporto familiare e psicologico, indispensabile per chi deve reimparare a parlare. Quel nonno rientra nel migliaio di pazienti sordo profondi, affetti cioè da cofosi (la sordità bilaterale), che nel 2017 in tutta Italia sono ricorsi all’impianto cocleare negli ospedali e nelle cliniche convenzionate con le Regioni e le Asl: il 60% sono bimbi nati con questo handicap, sui quali si interviene intorno ai 3 anni di età, il resto sono invece adulti oltre i 65 anni, progressivamente giunti alla sordità totale. 

I costi a carico del Ssn, ma… 

L’intervento chirurgico è garantito a tutti coloro che possono dimostrare  tramite referto medico specialistico di averne necessità, ma questo non significa che il percorso sia semplice, perché bisogna individuare dove effettuare l’intervento e mettersi in lista d’attesa in un Centro specializzato, sapendo anche che i residenti nella Regione in cui esso si trova hanno la priorità rispetto a chi viene da fuori. Gli interventi si svolgono in prevalenza in Lombardia, Emilia Romagna e Toscana, le Regioni che possono destinare al problema le alte risorse economiche necessarie, spesso accogliendo anche chi viene da fuori, pur con tempi di attesa di molti mesi visto che dal Sud arrivano moltissime richieste (in Calabria e in Sicilia, per limitare gli esempi, si praticano in un anno non più di 8 impianti cocleari, tutti su bambini piccoli, che hanno sempre la precedenza). L’intervento, per intero a carico del Ssn (Servizio sanitario nazionale), viene a costare circa 25 mila euro, di cui 21 mila per l’apparecchiatura tecnologica che ripristina l’udito. Il resto sono i costi ospedalieri legati al ricovero e all’intervento: chirurgo, anestesiologi e personale di sala operatoria. 

Che cos’è e come funziona l’impianto

“Si tratta di un dispositivo di ridottissime dimensioni che negli anziani viene impiantato in un solo orecchio (per un problema di costi) e che consta di due parti distinte: quella esterna è costituita da un minuscolo processore per l’elaborazione dei suoni e da un’antenna che li trasmette alla parte interna, anch’essa in titanio, impiantata chirurgicamente nella coclea, la chiocciola, bypassando la parte danneggiata dell’orecchio interno”, spiega il professor Carlo Antonio Leone, primario dell’Unità Operativa Complessa di Otorinolaringoiatria e Chirurgia Cervico-Facciale dell’Ospedale Monaldi di Napoli, che è intervenuto sull’anziano di 93 anni e su altri dodici casi di over 65 nel 2017. “La parte interna, spessa 4 millimetri, con un letto osseo di 2,2 millimetri, di fatto non si nota. L’impianto cocleare trasforma il suono in energia, in impulsi elettrici che raggiungono il cervello ripristinando così l’udito”. 

I vantaggi e gli aspetti da valutare

L’impianto cocleare non libera solo dalla sordità grave o profonda: “Il recupero uditivo contribuisce in modo determinante a rallentare il decadimento cognitivo, migliorando la qualità della vita”, assicura il professor Carlo Antonio Leone. “Ogni paziente dev’essere però accuratamente selezionato, perché la carta d’identità racconta storie tutte da verificare. Ci sono soggetti di 75 anni che biologicamente è come se ne avessero 90, altri di 80 anni biologicamente molto più giovani. Occorre valutare la motivazioni del singolo soggetto, ma anche il supporto familiare per le fasi di rieducazione alla parola, per la quale va anche considerato che magari per anni l’anziano ha utilizzato un apparecchio protesico ormai inefficace oppure si è avvalso del linguaggio dei segni o ancora si limitava a leggere il labiale dell’interlocutore per capire le frasi. In pratica cercava solo di comprendere, non di parlare”. 

Tempi e modalità dell’intervento

Preceduto di qualche giorno dal colloquio con lo psicologo per capire quanto il soggetto sia motivato all’intervento, con i familiari per l’indispensabile supporto e spesso con la consulenza di persone già impiantate che rassicurano chi deve affrontare l’atto chirurgico, l’intervento avviene in anestesia totale e dura dai 60 ai 90 minuti. “Dopo tre settimane, quando l’impianto è stabilizzato, provvediamo ad attivarlo ma la mappatura, così si chiamano le verifiche, la iniziamo già al tavolo operatorio, quando il paziente sta ancora dormendo”, spiega ancora il professor Carlo Antonio Leone. 

Quali controindicazioni?

“In sostanza sono quelle legate all’anestesia, soprattutto in soggetti avanti negli anni, oppure a situazioni anatomiche particolari, come una genesia del nervo (atrofia congenita) oppure lo sviluppo incompleto della coclea”, risponde lo specialista. “Anche la meningite, se recente, è una controindicazione, perché provoca un’ossificazione, ma per non avere sorprese si eseguono sempre opportuni esami come la tomografia computerizzata e la risonanza magnetica. Le complicanze sono veramente rare, sono possibili ma rarissime le paralisi transitorie del facciale, ma ragioniamo di complicazioni statisticamente non rilevabili. Ribadisco, l’unico vero rischio è l’anestesia generale, come per qualsiasi intervento che la richieda e di fronte a pazienti di una certa età”. 

Accorgimenti e manutenzione

“Vale il discorso che si fa per gli occhiali: la protesi esterna di notte va tolta. Mentre può essere tenuta per qualsiasi attività, anche in acqua. I controlli sono parecchi nel primo periodo, poi possono essere programmati una volta l’anno”, racconta ancora il professor Carlo Antonio Leone. “Se un impianto mostra dei difetti (rarissimi, perché le apparecchiature sono testate a lungo), bisogna intervenire a sostituirle: operazione rapidissima per la parte esterna, mentre per quella interna si procede con un nuovo intervento, stavolta in anestesia locale”.
 

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