Prostriata: così è stata denominata un’area visiva del cervello recentemente individuata e messa in collegamento con lo sviluppo dell'Alzheimer da un gruppo di ricercatori guidato dalla dottoressa Kyriaki Mikellidou e dalla professoressa Maria Concetta Morrone, del dipartimento di Medicina traslazionale dell’Università di Pisa. “L’area è stata localizzata in una parte primitiva della corteccia cerebrale sfruttando le potenzialità della risonanza magnetica funzionale (Fmri) e presenta una linea diretta di comunicazione tra le aree cerebrali che controllano le emozioni e le reazioni motorie rapide”, spiega proprio la professoressa Morrone. “Comprenderne il preciso funzionamento potrà essere cruciale anche in relazione al morbo di Alzheimer, per il quale proprio in corrispondenza della prostriata sono state osservate degenerazioni che potrebbero contribuire a causare quel senso di disorientamento spaziale e di mancanza di equilibrio accusati dai pazienti nella fase iniziale della malattia”.
La ricerca e un progetto “sul campo”
Il recente studio, che è stato pubblicato dall'autorevole rivista Current Biology, si collega al progetto “Train the Brain” (ovvero “Allena il cervello”) che ha coinvolto sempre all'Università di Pisa un gruppo di anziani con diagnosi di danno cognitivo lieve, anche se a rischio di evoluzione verso forme gravi di demenza. In pratica, in assenza di terapie efficaci, gli specialisti in neuroscienze hanno posto e pongono la massima attenzione agli interventi in grado di rallentare il deterioramento cognitivo. “Gli anziani selezionati sono stati accolti, per sette mesi e per tre mattine a settimana, nell’Area della ricerca del Cnr di Pisa in una struttura appositamente creata e attrezzata con una palestra, in un contesto ricreativo e rilassante, con ampio spazio per le attività di gruppo e la musicoterapia e con ambienti dedicati alla stimolazione cognitiva, basata per esempio su compiti di memorizzazione di volti e parole, esercizi di logica, giochi di attenzione»”, racconta la professoressa Nicoletta Berardi, del Dipartimento di neuroscienze dell'Università di Firenze e ricercatrice dell’Istituto di neuroscienze del Cnr.
Risultati incoraggianti
Secondo i dati sinora raccolti nell'ambito del progetto “Train the Brain”, gli stimoli indotti attraverso le diverse attività hanno effettivamente arrestato il decadimento cognitivo nei pazienti. “Con effetti riscontrabili anche a livello dei parametri di funzionalità cerebrale”, precisa la professoressa Berardi, “e che è stato possibile valutare con le più moderne tecniche di diagnostica per immagini. Grazie alla lungimiranza della Fondazione Pisa, che ha voluto investire con determinazione nelle più innovative strumentazioni mediche a favore del Polo universitario cittadino, abbiamo infatti potuto analizzare e certificare senza ombra di dubbio i risultati con la risonanza ad alto campo, un'apparecchiatura che viaggia a 7 Tesla (l’unità di misura dell’induzione magnetica) contro gli 1,5 delle normali risonanze”.
Gli obiettivi futuri
Lo studio “Train the Brain” procederà a partire dal prossimo febbraio e per i prossimi tre anni con un follow up di allenamento per il cervello che coinvolgerà per altri 7 mesi i soggetti già sottoposti alla prima ricerca (100 anziani con danno cognitivo lieve) e anche 35 anziani sani. “Il confronto con i dati di questi ultimi permetterà di controllare a livello cerebrale le tracce di miglioramento a lungo termine del gruppo di malati”, spiega ancora la professoressa Nicoletta Berardi. “Potremo così verificare se l’allenamento ambientale è più efficace a lungo termine, con anche l'obiettivo di individuare i marker che identificano gli anziani con invecchiamento non fisiologico (quindi legato a una malattia neurodegenerativa), verificando il flusso ematico nel loro cervello, la cui diminuzione è appunto alla base del decadimento cerebrale”.
Redazione Peranziani
Articolo revisionato dalla nostra redazione