Perché la menopausa alza il rischio di Alzheimer nelle donne (e le regole di prevenzione)

12 Gennaio 2018

Da tempo la medicina indaga sulla possibilità che ci sia una correlazione fra la menopausa e il rischio di sviluppare il morbo di Alzheimer, un “sospetto” generato anche dal fatto che le “over 65” vanno incontro alla malattia in misura doppia rispetto agli uomini della stessa età. Da un gruppo di ricerca coordinato dall'italiana Lisa Mosconi, professore associato al Dipartimento di Neurologia e Disordini della memoria dell'americana Cornell University (Stato di New York), sono di recente arrivate le prime risposte che indirizzano verso il cervello (e non le ovaie) le probabilità maggiori che l’Alzheimer insorga in età tra i 40 e i 50 anni per manifestarsi poi compiutamente uno o due decenni più tardi. “La scienza non ha più dubbi”, afferma la professoressa Mosconi, “l'Alzheimer non è una malattia della vecchiaia, ma piuttosto inizia nel cervello ben prima che si manifesti qualsiasi sintomo clinico per un insieme di cause combinate: dalla genetica al rischio vascolare, senza dimenticare lo stile di vita, per cui dieta ed esercizio fisico giocano anch’essi un ruolo. Anche se è vero che il cervello di ciascuno di noi è in gran parte modellato dal Dna che ha ricevuto dai genitori, recenti scoperte hanno portato a invertire la vecchia visione secondo cui 'tu sei il tuo Dna' a favore di un modello molto più complesso e dinamico, in cui i geni sono fondamentali ma la malattia si pone anche come conseguenza di tutte le scelte che facciamo nel corso della vita”. Ma non solo…

Il ruolo degli estrogeni

Tra i tanti fattori di rischio ce ne sono poi alcuni esclusivamente femminili, connessi alle trasformazioni (se non “tempeste”) ormonali indotte dalla menopausa. “In particolare, la riduzione degli estrogeni (gli ormoni della fertilità) causa la perdita di un elemento neuroprotettivo chiave nel cervello femminile, che diventa così assai più vulnerabile nei confronti dei fenomeni degenerativi collegati all'invecchiamento e anche alla malattia di Alzheimer”, spiega la professoressa. 

Lo studio, pubblicato dall'autorevole rivista scientifica online Plos One, si è basato sull'utilizzo di una particolare tecnica di immagine diagnostica chiamata PET (tomografia a emissione di positroni): “Ce ne siano avvalsi per 'fotografare' e misurare il metabolismo del glucosio, la principale fonte di combustibile per l'attività cellulare, nel cervello di donne sane di età compresa tra i 40 e i 60 anni”, prosegue la professoressa Lisa Mosconi. “Alcune donne erano in premenopausa, altre stavano passando alla menopausa (perimenopausa) e altre ancora erano invece già in menopausa; abbiamo anche esaminato un gruppo di uomini sani della stessa età. Il test ha rivelato che le signore in menopausa e quelle in perimenopausa avevano livelli più bassi di metabolismo del glucosio rispetto a quelle in premenopausa, oltre che livelli nettamente inferiori rispetto ai maschi di pari età. Un modello simile di 'ipometabolismo' si trova spesso nei cervelli dei pazienti nelle prime fasi dell'Alzheimer, così come in laboratorio nei topi transgenici che modellano la malattia”. Semplificando: la menopausa causa cambiamenti metabolici nel cervello che sembrano quindi aumentare il rischio di andare successivamente incontro all'Alzheimer.

Le strategie di prevenzione

Senza creare inutili allarmismi, appurato che la menopausa è un periodo delicato anche nei confronti delle malattie neurodegenerative che colpiscono il cervello, bisogna allora pensare a opportune strategie di prevenzione. “A livello individuale”, afferma la professoressa Lisa Mosconi, “la prima mossa è rivolgersi al proprio ginecologo o comunque a un medico di fiducia per avviare una terapia ormonale sostitutiva, particolarmente utile se impostata ben prima della menopausa e fondamentale in caso di menopausa precoce: riequilibrando il quadro ormonale, il trattamento con i farmaci consente infatti di conservare i naturali elementi neuroprotettivi del cervello, riducendo così le probabilità che si possa manifestare una forma di demenza senile”. 

Come specificato all'inizio, anche lo stile di vita ha poi la sua importanza: “Una corretta dieta può aiutare a sostenere la produzione ormonale”, conferma la professoressa Mosconi. “Come neuroscienziato e consulente nutrizionale ho lavorato per molti anni sulla relazione tra nutrizione e patologia della malattia e posso confermare che alimenti vegetali come ad esempio i semi di lino e i ceci aumentano la produzione di ormoni estrogeni nell'organismo femminile. E dai nostri studi è anche emerso che, per proteggere il cervello, le donne hanno bisogno di antiossidanti in combinazione con le terapie ormonali per mantenere un adeguato livello di estrogeni: in questo senso, la maggior parte di frutta (in particolare gli agrumi) e verdura (specie quella a foglia verde) è ricca di nutrienti antiossidanti come la vitamina C e la vitamina E. Altri cibi consigliati: bacche, cacao crudo, mandorle e noci del Brasile”. Il tutto combinato con i vantaggi offerti da un regolare ma moderato esercizio fisico, come ad esempio quelli del fitwalking, un'attività fisica perfetta nella terza età.

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