Gli approcci non farmacologici per il miglioramento della vita per i malati di Parkinson

parkinson-farmaci
7 Gennaio 2021

L’attività fisica e l’esercizio sono diventati una componente centrale della gestione medica di malattie croniche, in particolare per gli anziani che soffrono di malattie neurodegenerative che ne compromettono la cognizione e la mobilità.

«Sappiamo ormai da moti anni – dice la dottoressa Roberta Ravenni Specialista in Neurologia e  Neurofisiologia Clinica. Esperta in Disordini del Movimento;  Malattie Neurodegenerative ed in Patologie del Sistema Nervoso Periferico presso Ospedale Civile di Rovigo e Consultant Neurologist and Neurophysiology NHS Scotland Edinburgh – che la terapia della Malattia di Parkinson comprende approcci di varia natura, sia farmacologici che non farmacologici, ampliando in questa maniera le possibilità di intervento per migliorare efficacemente la qualità della vita dei pazienti.  Una nutrita serie di studi clinici pubblicati in letteratura hanno così guidato l’intervento medico su trattamenti fattibili al di fuori della farmacoterapia e della chirurgia. Di che cosa parliamo nel dettaglio? Parliamo di esercizio fisico, fisioterapia, musico-terapia, ballo, terapia occupazionale, logopedia e mindfulness. Un mondo di possibilità terapeutiche che, certamente, non intendono sostituirsi alle terapie mediche convenzionali ma che le integrano e le supportano.  

Facciamo un esempio: la stimolazione ritmica uditiva, utilizzando suoni a ritmi diversi, viene utilizzata per la riabilitazione motoria della marcia, del freezing of gait  (interruzione improvvisa del cammino )e delle difficoltà motorie in genere.  Tale metodica, ha dimostrato in studi clinici, risultati molto soddisfacenti. Ulteriori strategie tentano di migliorare l’andatura utilizzando l’allenamento della marcia mediante la camminata sui marciapiedi, gli esercizi di alternanza delle gambe, e lo svolgimento di compiti funzionali personalizzati, molto semplici da comprendere. La danza, in molte sue forme ma in particolare attraverso l’utilizzo di danze “ritmate” promuove il miglioramento della mobilità e della flessibilità, dell’equilibrio, e dell’andatura ma, soprattutto, migliora il benessere emotivo e interazione sociale. La stimolazione ritmica e la danza forniscono, senza alcun dubbio, benefici motori, cognitivi e di qualità della vita per i pazienti con malattia di Parkinson. Così, gli stimoli sonori e la danza, migliorando le capacità cognitive come la memoria spaziale, prese nel loro insieme, stimolano la popolazione anziana a praticare l’esercizio fisico, generando benessere e aiutando l’autostima.

Mi piace focalizzare l’attenzione sugli effetti positivi della danza, forse perché io per prima la amo molto. La danza nei pazienti Parkinsoniani promuove il miglioramento dell’equilibrio dinamico, della velocità di marcia e della lunghezza dei passi, che durano nel tempo anche dopo un mese dalla sospensione dell’attività ma che, ovviamente, si mantengono fintanto che l’attività viene continuata. E fra le varie possibilità che vengono proposte ai pazienti, il tango argentino (adattato) sembra proprio essere una fra le metodiche più utili!

La musica e la danza risultano, e non su basi empiriche ma quali risultato di studi scientifici controllati, metodiche riabilitative non invasive, delle quali, soprattutto la popolazione anziana dovrebbe poter usufruire quali tecniche o strategie che stimolano la conoscenza e la funzione motoria; sarebbe auspicabile che in ogni città vi fosse la possibilità di prevedere servizi del genere, anche e soprattutto a prezzi accessibili, in maniera da poter essere utilizzati dal maggior numero di pazienti possibile. Tuttavia la realtà è piuttosto diversa, pertanto sono stati messi a punto tutorial multimediali e video attraverso piattaforme internet per poter divulgare tali metodiche riabilitative senza bisogno che il paziente si debba recare in strutture o spazi al di fuori della propria casa.

Lo stress psicologico, di cui tutti i pazienti affetti da patologie neurodegenerative sono più o meno affetti, può beneficiare e ridursi attraverso l’utilizzo di metodiche riabilitative a livello neuropsicologico, come la terapia cognitivo-comportamentale e la terapia basata sulla meditazione profonda. Gli studi clinici disponibili, sono al momento non sufficienti a definire l’esatta entità del beneficio riportato dai pazienti ma i dati in letteratura sono molto incoraggianti e suggeriscono sicuramente la prosecuzione di tali applicazioni per pazienti affetti da vari tipi e gradi di patologie neurodegenerative. 

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