Alzheimer sintomi: perché la terapia della bambola è utile?
Tra i sintomi del morbo di Alzheimer vi sono disturbi comportamentali di varia natura, quali aggressività e paranoia, ma anche tendenze depressive, ansia e atteggiamenti di costante sospetto nei confronti dei caregiver e una forte apatia nei confronti del mondo esterno.
Spesso, tali disturbi vengono, se non curati, per lo meno ridotti con l'aiuto di farmaci, ma sia l'ingente costo di questi medicinali che il desiderio di ridurre i sintomi Alzheimer in maniera graduale e costante hanno spinto la ricerca a focalizzarsi su delle terapie non farmacologiche.
La terapia della bambola è fra queste e, grazie agli studi di dottori come Gary Mitchell o Ivo Cilesi, sta lentamente prendendo piede in molte Rsa.
La terapia della bambola e la sua storia
Gli studi inerenti alla terapia della bambola come cura Alzheimer si ispirano alla teoria dell'attaccamento formualta negli anni '60 dallo psicologo John Bowlby. Bowlby si occupava essenzialmente di psicologia infantile ed aveva teorizzato che la ricerca di costante contatto reciproco da parte del bambino e del genitore fosse la conseguenza di un istinto primordiale insito nel genere umano. Questo desiderio di contatto, tendente ad evolversi in una forma di accudimento dell'altro (l'attaccamento, appunto), può anche avvalersi di un oggetto transizionale grazie al quale l'interazione con gli altri può essere intensificata.
Proprio da questa teoria prendono avvio tutti gli studi inerenti alla terapia della bambola: l'anziano utilizza la bambola come oggetto transizionale per creare una relazione con altri soggetti e riesce a riversare parte del naturale desiderio di accudimento e scambio affettivo sul giocattolo che diviene un essere vivente dotato di esigenze concrete, ma soprattutto emotive.
I benefici tratti dalla terapia della bambola
Uno dei primissimi benefici che si possono trarre dalla messa in pratica della terapia della bambola è una riduzione degli accessi di ira e degli stati d'ansia. Concentrare l'attenzione sulla bambola e avere nei suoi confronti degli atteggiamenti di dolcezza e affetto sono fattori che aiutano il senior malato a rilassarsi e hanno ripercussioni positive anche sull'alternanza sonno-veglia, limitando l'insonnia.
La positività sprigionata dal rapporto con la bambola può essere legata anche al risveglio di ricordi piacevoli: se l'anziano in questione è genitore o ha avuto occasione in passato di prendersi cura di un bambino, il semplice gesto di cullare il bambolotto cantandogli una ninna nanna può riportare alla mente emozioni e sensazioni legate a un momento felice della sua vita.
La bambola, inoltre, come anticipato, risulta essere un oggetto transizionale in grado di diventare un diersivo per creare delle relazioni con gli altri ospiti della struttura o con i caregiver, riducendo anche l'apatia e stimolando il senior a lasciarsi coinvolgere nelle attività che provengono dal mondo esterno, riducendo gli stati depressivi e migliorando la memoria procedurale.
Come mettere in atto la terapia della bambola
La terapia della bambola ha degli effetti benefici solo se somministrata correttamente e, soprattutto, previa osservazione del comportamento del senior nei confronti dell'oggetto. Se il senior mostra un interesse positivo nei confronti del giocattolo e si pone nei confronti di quest'ultimo in maniera empatica ed affettuosa, si può definire un programma terapeutico con l'appoggio di un medico.
Tuttavia, è bene non somministrare la bambola troppo spesso, altrimenti si rischia di non ottenere più reazioni di entusiasmo e di avvolgere anche il giocattolo in una spessa coltre di apatia e indifferenza.
Anche la tipologia di bambolotto più adatta può essere definita: più somiglianza avrà con un reale essere umano, meglio sarà per la stimolazione di sentimenti empatici da parte dell'anziano.
Redazione Peranziani.it