Scoprire di avere un malato di Alzheimer in casa è una di quelle notizie capaci di cambiare, anzi, sconvolgere una vita. Si tratta infatti di una malattia subdola, davanti alla quale siamo spesso impotenti e che lascia cicatrici umane, sentimentali, psicologiche in tutti coloro che sono coinvolti.
Le strade possibili quindi per affrontare questo problema sono due: la prima è affidarsi a strutture e personale qualificato per questo tipo di patologia. Ma sono sempre di più le famiglie che decidono di tenere il proprio caro a casa e lì aiutarlo.
«Dipende molto dalla famiglia – spiega la Dott.ssa Beatrice Casoni, direttore sanitario clinica Neurocare, Bologna – alcune se lo possono permettere a livello emotivo, organizzativo ed anche economico perché è chiaro che fin quando il decadimento è limitato e basta un semplice aiuto è un conto. Quando invece serve di più è chiaro che bisogna chiedere aiuto a badanti, infermieri, assistenti di vario tipo che rendono tutto più complesso»
Guida per il caregiver
Parenti, familiari di vario tipo ed amici sono sicuramente coinvolti in maniera diretta e quasi sempre subiscono anche conseguenze psicologiche; «si parla addirittura di depressione per le persone sensibili che hanno a che fare con un malato grave di Alzheimer…» ammette la Dott.ssa Casoni. «In molti poi non accettano l’idea di lasciare il proprio caro nelle mani di altri. Si sentono in qualche modo colpevoli».
Bisogna però mantenersi lucidi, e capire fino a che il nostro aiuto è davvero utile per il malato e la sua salute e quando invece bisogna affidarsi ad altro e ad altri.
Da questo punto di vista è molto prezioso il parere di esperti alle prese da anni con questo tipo di problematiche.
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Assecondare il malato
La prima cosa da fare è capire come gestire a livello mentale, un malato di Alzheimer. «Spesso – spiega la Dott.ssa Casoni – siamo portati ad insistere, arrivando ad una sorta di accanimento. Quante volte è capitato di sentir dire ad un malato frasi del tipo “te l’ho detto poco fa e me lo chiedi di nuovo…”. Ecco, tutto questo diventa dannoso ed è un problema in più per il nostro caro che a quel punto (in maniera inconscia, ovviamente) non ci percepisce più come un amico. Si sente a disagio e trasforma il suo caro non come un sopporto ma come un Giudice».
Bisogna quindi trovare un giusto equilibrio e ricordarsi sempre quale sia la situazione con cui si ha a che fare, soprattutto dobbiamo ricordarci che il nostro caro non è per lo più lucido. ogni suo gesto, atteggiamento, comportamento, è di fatto slegato da tutto, dal passato e a volte anche dagli affetti.
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Creare una routine per il malato
L’anziano malato di Alzheimer ha bisogno della routine, proprio come i bambini. «La routine è rassicurante ed aiuta a mantenere dei punti fermi, ad muoversi all’interno di quella confusione mentale che hanno – aggiunge la Dott.ssa Casoni – È quindi importante evitare grossi cambiamenti, di ambiente, anche di orari (dalle uscite alle attività della giornata ai pasti)».
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Non interrompere la comunicazione
La persona malata di Alzheimer ha soprattutto un grosso problema comunicativo. Le cose da dire, il modo in cui vengono dette, relazionarsi con gli altri diventa improvvisamente un enorme problema e si rischia di sprofondare in un terribile isolamento, aggiungendo così danno a danno.
«Bisogna continuare a comunicare lo aiuta a vedere il proprio caregiver come qualcuno di amico, a cui riferirsi, con cui parlare. Lo aiuta a non avere paura, cosa che capita quando comincia a non riconoscere più luoghi e persone care, ed è un grosso stimolo a livello cognitivo».
Ma come si comunica con un malato di Alzheimer?
«Questo dipende dal livello di malattia, dallo stadio raggiunto. Per chi è ancora in una fase iniziale il consiglio è di continuare a farlo come si faceva normalmente per evitare cambiamenti, toglierlo dalle sue abitudini e soprattutto per non farlo sentire un “malato”. Quando invece ci sarà il peggiorare della patologia la comunicazione dovrà diventare più semplice, chiara, evitando di dare troppe informazioni tutte assieme perchè la persona farà fatica a fissare tutti gli argomenti. Poi, quando la malattia sarà grave si può utilizzare una comunicazione anche gestuale, fisica, attraverso il contatto, carezze, coccole, questo per far sentire la propria vicinanza ed il proprio affetto».
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Controllare l’alimentazione
L’Alzheimer come patologia mentale consente una certa libertà individuale. valgono quindi le regole classiche per gli anziani: pasti non troppo pesanti, soprattutto la sera, pasti piuttosto più numerosi (bene gli spuntini) che “carichi”.
È importante però il rispetto delle abitudini e quindi degli orari che si aveva prima della malattia e che non vanno stravolti. Questa ripetitività è utile per il malato.
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Creare un ambiente accogliente
La casa, il luogo dove un malato di Alzheimer vive per forza non può essere quello che aveva prima dell’insorgere della malattia, semplicemente per una questione di sicurezza. «La sicurezza – ammonisce la Dott.ssa Casoni – è la cosa principale. Pensiamo ad esempio alla cucina, ad un fornello lasciato acceso o non chiuso bene. Si capisce subito il rischio che si sta correndo. Bisogna quindi liberare gli spazi da tutto ciò che possa essere un pericolo. Si deve poi creare un ambiente accogliente, magari mettendo delle foto che in qualche maniera possano aiutare a ricordare. Il tutto senza cambiarlo troppo rispetto a quello che era la sua casa…»
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Affidarsi alle terapie non farmacologiche
La scienza e la medicina stanno proseguendo nella loro lotta a questa terribile malattia. Oggi contro l’Alzheimer, oltre alle note terapie farmacologiche, esistono pratiche che si stanno dimostrando molto efficaci.
«È appena uscito uno studio – conclude la Dott.ssa Casoni – abbastanza rivoluzionario che riporta un’attività eseguita su 50 malati in uno stadio lieve-moderato con la stimolazione magnetica trans cranica. Si tratta di una neuro-modulazione che modula l’attività neuronale attraverso un campo elettromagnetico, assolutamente indolore, non invasiva; il paziente sta seduto come dal dentista e viene applicata come una bobina sul cuoio capelluto e attraverso questa calotta viene inviato questo campo magnetico nei punti del cervello dove ci sono i neuroni interessati. Si è visto che questo, all’interno di un certo protocollo su una zona del cervello denominata precuneo ha rallentato il decorrere della malattia. Per 6 mesi lo stato di queste persone è rimasto stabile, senza peggioramenti. Poi esistono altre stimolazioni, neuro cognitive, con gli psicologi per stimolare quelle attività che la persona sta perdendo».
Ci sono poi terapie non farmacologiche che di sicuro aiutano a creare un benessere psicologico. La Pet Teraphy, la musicoterapia, ed altre attività simili riempiono di positività la vita di queste persone. Ed una persona anche se malata di Alzheimer è più serena e felice vive sicuramente meglio.
Redazione Peranziani.it