Gestire l’aggressività nell’anziano: cosa fare (e cosa no)

aggressivita
30 Novembre 2017

Quando ci si prende cura di un anziano, una delle problematiche che ci si può ritrovare a fronteggiare è la gestione dell’aggressività. “Che va letta non come una forma di attacco verso gli altri, ma al contrario come una reazione di difesa nei confronti di situazioni che non riconosce e che non riesce a decodificare, di elementi estranei che generano uno scombussolamento emotivo nella persona, facendola sentire in pericolo e vulnerabile. Il che vale anche e soprattutto in presenza di particolari malattie come per esempio l’Alzheimer”, chiarisce subito la dottoressa Laura Rivolta, psicologa e psicoterapeuta a Milano.

Quali possono essere queste situazioni scatenanti l’aggressività nell’anziano?

Anche solo l’arrivo, a casa come in casa di riposo, di un familiare o un amico che non si vede da tempo può generare una forte confusione, perché l’anziano magari fatica a riconoscerlo e, conseguente e importante elemento, si ritrova a doversi impegnare in un sistema di comunicazione differente rispetto a quello al quale è abituato. Il fatto di non comprendere cosa sta accadendo intorno a sé, specie se associato al non comprendere le intenzioni dell’interlocutore, fa sì che l’anziano si ponga in quell’aggressivo atteggiamento difensivo descritto in precedenza”.

Conta anche il contesto in cui si trova?

Certamente. I luoghi affollati e rumorosi possono per esempio risultare una fonte di stress, specialmente quando sono presenti molti bambini e adolescenti che tendono a esprimersi in maniera più ‘energica’ rispetto agli adulti. Per questo nel caso della comunicazione tra un bambino e una persona anziana, specie se ricoverata in una casa di riposo, per favorire un incontro positivo per entrambi suggerisco sempre la presenza di un adulto che possa garantire un sistema comunicativo adeguato e comprensibile”.

Più in generale, quali sono gli atteggiamenti da adottare e quelli invece da evitare assolutamente durante uno sfogo di aggressività da parte dell’anziano?

Occorre sempre mantenere la calma e provare a rassicurare l’anziano. Ripeto: bisogna sempre ricordare che l’aggressività si scatena quando il malato si sente in pericolo, quindi una risposta di rabbia al suo comportamento può solo incentivare questa sensazione. Al contrario, è bene rassicurarlo e nel caso del caregiver memorizzare gli atteggiamenti che tranquillizzano la persona anziana assistita, per metterli nuovamente in atto in caso di nuovi sfoghi di aggressività. Proprio perché l’anziano viene turbato da qualsiasi elemento di novità, la routine ha la sua importanza anche nella gestione delle situazioni di emergenza”.

Come comportarsi, invece, quando l’anziano – perché vittima di una forma di demenza senile o malato di Alzheimer – diviene aggressivo nei confronti del caregiver perché non lo riconosce o non riconosce l’ambiente in cui si trova?

In questo caso la principale soluzione è quella di trasferire la comunicazione sul piano fisico. Quando ad esempio il genitore cessa di riconoscere il figlio, la comunicazione verbale non può più essere efficace proprio perché non ci sono più ruoli riconosciuti. Per questo consolidare nel tempo un insieme di segnali appartenenti al linguaggio del corpo e utilizzare il contatto fisico piuttosto che le parole può risultare l’unico modo efficace per farsi riconoscere dal proprio caro e riuscire ad assisterlo. Se, invece, l’aggressività dell’anziano è scatenata dal non riconoscere la propria casa, sentendosi così ‘imprigionato’ in un ambiente estraneo, la strategia migliore è quella di distrarlo e di tranquillizzarlo garantendogli che presto verrà portato dove desidera. Pensare di convincerlo che si trova già lì risulta invece solo deleterio, proprio perché l’anziano in quel preciso momento non riconosce l’ambiente familiare”.

Esiste una differenza nella gestione dell’aggressività a casa o in una struttura di ricovero?

Fronteggiare l’aggressività dell’anziano in un contesto domestico o all’interno ad esempio di una RSA è senz’altro diverso: non però per le cause scatenanti, né per l’entità del problema. La differenza sta nella quantità di persone che si fanno carico di tali reazioni aggressive. A casa, questa problematica fa sì che il caregiver si trovi caricato di un’ulteriore e continuativa fonte di stress, aggravata dalla partecipazione emotiva e dal dolore generato dal vedere una persona profondamente amata assumere dei comportamenti inaspettati. Alla lunga, queste costanti sollecitazioni negative possono stimolare delle reazioni di rabbia anche nel familiare che assiste e questo rischia di generare un circolo vizioso destinato a logorare sempre più i rapporti. Questo meccanismo viene invece scongiurato in una struttura di ricovero dalla presenza di operatori non emotivamente coinvolti e preparati a gestire le situazioni di stress con il paziente”.

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