Esistono patologie legate al sistema cardiaco che necessitano dell’impianto di un pacemaker per poter essere risolte. E’ il caso di bradicardia, fibrillazione atriale o blocco cardiaco atrio-ventricolare, riscontrabili soprattutto in pazienti anziani il cui muscolo cardiaco non ha più la capacità di trasferire in modo adeguato l’impulso elettrico.
Pacemaker: l’intervento
L’installazione del dispositivo di elettrostimolazione cardiaca che dà ritmo alle pulsazioni (la traduzione in italiano del termine inglese ‘pacemaker’ è infatti ‘stabilire il ritmo’) e regola la trasmissione dell’impulso elettrico, è oggigiorno un intervento chirurgico effettuabile in una sola ora, in anestesia locale e con un basso rischio per il paziente.
“L’impianto di un pacemaker – spiega il Professor Claudio Tondo, Coordinatore dell’unità di Aritmologia del Centro Cardiologico Monzino IRCCS – si realizza attraverso l’inserimento di sonde che attraversano le vene centrali, la succlavia in particolare, e fungono da guida per il posizionamento degli elettrocateteri adibiti alla stimolazione delle camere cardiache. A seconda dell’indicazione clinica i pazienti possono dover impiantare uno o due elettrocateteri: nel primo caso verrà posizionato nella camera ventricolare, nel secondo invece sia in atrio che in ventricolo per una doppia stimolazione coordinata”.
Successivamente all’inserimento degli elettrocateteri si impianta il generatore, un device dalle ridotte dimensioni dotato di una batteria in grado di durare oltre 8 anni, che genera gli impulsi trasmessi poi dagli elettrostimolatori al muscolo cardiaco.
Il generatore viene alloggiato in posizione sottocutanea in una tasca chirurgica nella regione pettorale sinistra o destra, a seconda del modus operandi dell’equipe chirurgica e delle indicazioni cliniche, che poi viene suturata.
Pacemaker: il decorso post operatorio
Una volta terminato l’intervento, grazie alla minor invasività rispetto agli interventi svolti in passato, la convalescenza ed il recupero, nella maggior parte dei casi, non si presentano tortuosi.
Dopo 36 o 48 ore il paziente può essere dimesso e tornare a casa. Per i giorni che seguiranno il convalescente dovrà prestare molta attenzione a ridurre il più possibile gli sforzi e i movimenti dell’arto omolaterale al loco di inserimento degli elettrocateteri. Anche la guida di veicoli dovrebbe essere evitata o ridotta per i primi 7/10 giorni.
Il paziente si deve premurare di non compiere movimenti bruschi che possono alterare il posizionamento degli elettrocateteri e di non ricevere colpi nella sede d’inserimento del generatore, che potrebbe venirne danneggiato. Per questo motivo, anche una volta superato il periodo di convalescenza, gli sport che prevedono il contatto fisico dovrebbero essere evitati per scongiurare la possibilità di recare danno al dispositivo.
Viste le controindicazioni post-operatorie, non stupisce che l’impianto degli elettrodi avvenga nella maggior parte dei casi attraverso la vena succlavia sinistra, così da permettere al paziente una maggiore mobilità dell’arto consuetamente dominante, il destro dunque, nella fase post operatoria.
Esistono comunque casi di impianto degli elettrodi sul lato destro.
Il Professor Tondo spiega anche in cosa consiste il follow up del paziente impiantato con pacemaker: “Per la settimana successiva all’intervento è consigliata una terapia antibiotica, così da assicurarsi che non si contraggano malattie infettive durante una fase delicata. Il primo controllo del funzionamento del dispositivo viene convenzionalmente effettuato a 30/40 giorni dall’intervento, i successivi checkup avverranno con una cadenza di sei o dodici mesi a seconda della risposta del paziente. Solo dopo 8/10 anni si richiederà la sostituzione del generatore per il cambio della batteria”.
Redazione Peranziani.it