Nel Centro di Vulnologia di Monza, operante da 15 anni all’interno degli Istituti Clinici Zucchi, vengono effettuate circa 200 medicazioni al giorno per ulcerazioni della pelle e piaghe (non solo da decubito), con tempi di attesa che non superano i nove giorni. Un’azione continua che certifica quanto questa branca della medicina sia utile a migliorare la qualità della vita di tanti pazienti, in molti casi anziani costretti a rimanere a lungo allettati o seduti in carrozzina.
“Eppure, benché in Italia circa 2 milioni di soggetti (pari al 3% della popolazione) soffrano di questi problemi, soprattutto chi ha problemi di incontinenza anziani, la possibilità di avvalersi di questa branca della medicina, specializzata nel trattamento di ulcere non curabili, rimane ancora poco conosciuta”, commenta il dottor Roberto Brambilla, responsabile del Centro. “Il recente sviluppo di tale scienza dipende da un radicale cambiamento di approccio nei confronti della stessa. Fino agli anni Ottanta, infatti, la vulnologia è sempre stata concepita come un’attività ancillare, che raramente occupava posizioni di rilievo all’interno della ricerca. Ci si affidava semplicemente alla vix sanatrix naturae, per cui ci si preoccupava di isolare la piaga dall’ambiente esterno e ci si affidava, in seguito, alla capacità del corpo di autorigenerarsi. Ciò ha avuto come conseguenza la presenza di ulcere rimaste aperte per decenni: 30, 40 o addirittura 60 anni… In passato mi è persino capitato di curare un uomo la cui diagnosi era “ferita di guerra”. Poi, a partire dagli anni Novanta, è iniziato un percorso di evoluzione e innovazione delle terapie”.
In cosa consiste la moderna vulnologia?
“La nostra attività è ora fondata sulla medicina rigenerativa, che prevede medicazioni in grado di interagire con il fondo e i bordi della ferita, stimolandone la riparazione. Una terapia resa possibile in origine da biofarmaci prodotti grazie all’utilizzo di sequenze genomiche umane a scopo medico e, nell’ultimo decennio, dal ricorso a prodotti di ingegneria tissutale quali l’acido ialuronico, il collagene e cellule provenienti da donatori oppure mesenchimali, cioè prelevate dai tessuti adiposi del paziente o ancora dal sangue periferico così come dal midollo osseo”.
Quali risultati offrono queste cure?
“L’introduzione di queste nuove tipologie di medicazione ha permesso di giungere a una guarigione del 75% della ferita nel 90% dei pazienti. Inoltre, grazie alla medicina rigenerativa è oggi possibile non solo permettere ai pazienti con piaghe di natura cronica di condurre una vita migliore, ma anche di facilitare la convalescenza dopo un intervento, rendendo così possibile l’utilizzo della chirurgia anche nei confronti di soggetti che hanno superato i 90 anni. In termini assoluti, va poi detto che i tempi di guarigione o miglioramento sono nell’85% dei casi inferiori ai 90 giorni e questo è un altro grande vantaggio per il paziente e per chi lo deve assistere”.
Come si procede per il trattamento delle piaghe da decubito?
“Che si tratti di piaghe da decubito, oppure originate da altre patologie, occorrono cure costanti e quasi sempre continuative. Per questa ragione un Centro di Vulnologia come il nostro assiste il paziente a 360°, medicandolo con regolarità e con una frequenza variabile in base alla lesione. E’ prevista anche una assistenza domiciliare per i pazienti che hanno problemi a spostarsi o che necessitano di trattamenti frequenti. A questo proposito va poi detto che alla persona e a chi la assiste in famiglia viene anche insegnato a utilizzare i presidi medici che possono aiutarlo a tenere sotto controllo il problema in alternanza con l’operato del nostro personale sanitario”.
C’è anche un’attenzione per l’aspetto psicologico?
“Impossibile ignorarlo. La condizione di molti dei nostri pazienti li ha condotti ad uno stato di isolamento ed emarginazione: da ciò deriva l’esigenza di ricevere non solo cure mediche, ma anche contatto umano. Per questa ragione nel nostro Centro prestiamo una particolare attenzione all’individuo, introducendo nella sua cartella clinica non solo le fotografie scattate alla ferita, ma anche quelle scattate al suo volto, per meglio identificarlo e monitorare anche l’evoluzione del suo stato d’animo, non solo della lesione. Inoltre, evitiamo anche l’utilizzo di elevatori, proprio per permettere al paziente un profondo contatto umano dopo lunghi periodi di emarginazione”.
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Redazione Peranziani.it